
Ulisse, meditando vendetta, offrì in dono il vino che aveva portato con sé dalla nave: Polifemo accettò di buon grado la bevanda, gustandone in gran quantità. Ormai ubriaco, chiese ad Ulisse il suo nome, ed egli rispose: “il mio nome è Nessuno”. Quando il gigante si addormentò, Ulisse vendicò i suoi compagni accecandolo con una grande trave di legno incandescente.
Polifemo gridò come un pazzo e cercava senza riuscirci, a prendere qualche Acheo. Allora spostò il grande masso che chiudeva l’entrata, sicuro che Ulisse e i suoi uomini sarebbero scappati. Questi però si legarono sotto il ventre dei montoni che uscirono non appena Polifemo spostò la gigantesca pietra.
Ulisse e i suoi compagni corsero veloci verso le navi che ormeggiavano sulla costa e quando gli altri ciclopi accorsero in aiuto di Polifemo e chiesero chi compì il suo accecamento lui rispondeva: “Nessuno, è stato Nessuno”.
Viste le navi che prendevano il largo, gli altri ciclopi spiegarono a Polifemo della fuga di Ulisse. Il ciclope, furioso e rosso di ira, stacco dal terreno tre grossi massi e li scagliò verso il mare, nel tentativo, vano, di abbattere le navi greche.
Questi tre immensi massi, i faraglioni, sono rimasti immobili e immutati, ancora ammirabili oggi nelle acque che bagnano Aci Trezza.